mercoledì 30 gennaio 2013

Prigione di Megiddo a Israele


, (PIC) - La Società Prigionieri Palestinesi (PPS) ha dichiarato,Martedì scorso, che l'amministrazione del carcere di Megiddo detiene un certo numero di prigionieri malati, nonostante il loro bisogno urgente di cure.

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Il servizio carcerario israeliano (IPS) non ha fornito ai prigionieri  i trattamenti necessari. Inoltre non li fornisce di coperte  e abbigliamento adeguati durante questo periodo invernale.

L'avvocato della PPS ha riferito che durante la sua visita alla prigione di Megiddo che l'IPS ha continuato a detenere il prigioniero di Hassan Abdel Halim Touraby, anche se soffre di cancro del sangue e il prigioniero Ahmed Saleh Fawaz Salmiya che soffre al piede sinistro, al fegato, al bacino e che ha lesioni all'inguine.

I PPS riferisce, inoltre di notare l'esistenza di molti prigionieri malati di prigione di Megiddo, come il prigioniero Hamza Qakor da Jenin che ha bisogno di sottoporsi ad intervento chirurgico d'urgenza, il prigioniero Ahmed Makhlouf, da Burkin - Jenin, che soffre di infezione ossea rischiando l'amputazione di un  piede, oltre al prigioniero Nasri Mohamad Abu Rab, da Qabatia, che soffre di una grave forma di infezione batterica intestinale.

I PPS hanno invitato la Croce Rossa, e le organizzazioni internazionali a sostenere le loro responsabilità nei confronti della situazione medica dei prigionieri e di fare  pressione all' IPS affinchè forniscano le cure necessarie ai prigionieri malati.

QUANDO PARLIAMO DI DETENZIONE AMMINISTRATIVA, PENSIAMO ANCHE A QUESTI CASI LIMITE . QUESTO STA FACENDO LA "DEMOCRATICA" ISRAELE AI NOSTRI FRATELLI MUSULMANI! 
VERGOGNA!

martedì 29 gennaio 2013

LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA E' UN REATO GRAVE CONTRO L'UMANITA'



Togliere la libertà a qualsiasi essere umano è sempre un gesto di grande ingiustizia , specialmente se non giustificato da alcun motivo. Questo la "democratica" Israele lo sa, ma lo ignora e quindi è doppiamente colpevole e  doppiamente condannabile per la totale assenza di  qualsiasi senso umanitario , prima che da qualsiasi legge  scritta. Israele imprigiona presunti "terroristi" in assenza anche del minimo indizio contro di essi per la durata di 6 anni rinnovabili a tempo indeterminato in attesa di processo e in assenza di condanna. Questa è realtà...non farneticazione , come può sembrare......questa è crudeltà perpetrata contro palestinesi, per la sola ragione di essere palestinesi e quindi di fare parte di un popolo verso cui , sistematicamente la "democratica" Israele sta compiendo un vero e proprio genocidio , una pulizia etnica dalle proporzioni mai viste prime, accanendosi da ben 64 anni contro un popolo inerte, la cui difesa si chiama "Resistenza" . E non venitemi a raccontare la favoletta dei razzetti quassam ai quali la "democratica" Israele risponde "per difesa" con ordigni di ultima generazione che sperimenta nella Striscia di Gaza perchè il confronto non regge  e nessuna motivazione giuridica, ma principalmente umana può giustificare questo immane massacro rivolto principalmente contro i civili  ( per lo più bambini)  in totale assenza di rifuggi e di qualsivoglia protezione dalle incursioni criminali. Tornando all'argomento "Prigioni Israeliane" riporto di seguito un articolo comparso oggi sul portale di informazione NENA NEWS del 29 gennaio 2013 . Eccovelo: 

             ISRAELE E LA PALESTINA DIETRO LE SBARRE.

Betlemme, 29 gennaio 2013, Nena News - La battaglia degli stomaci vuoti non si è mai fermata. Prosegue lo sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. E mentre Samer Issawi digiuna da oltre 180 giorni, e Jazzer Ezzidine, Yousef Yassin e Tarek Qa'adan da quasi 60 giorni, c'è chi muore per le condizioni di vita dietro le sbarre.
Pochi giorni fa, Ashraf Abu Dhra è morto dopo cinque mesi dal rilascio. Aveva 29 anni, di cui gli ultimi sei e mezzo passati nel carcere israeliano di Ramle, in isolamento. Ad ucciderlo potrebbe essere stata la mancanza di cure mediche: malato di distrofia muscolare, Ashraf non è stato mai autorizzato dall'amministrazione carceraria ad accedere ad adeguati trattamenti. Una mancanza che lo ha costretto su una sedia a rotelle e, poco tempo dopo la sua liberazione, lo ha portato alla morte.

Nel 2008, l'associazione israeliana Physicians for Human Rightsaveva presentato una petizione ad un tribunale israeliano nella quale si chiedeva di imporre alla prigione di Ramle il ricovero di Ashrag: la corte ha approvato la richiesta, ma la clinica del carcere ha sempre ignorato la sentenza giudicando le cure "non necessarie".
Secondo i dati forniti dalle associazioni per la tutela dei prigionieri, dal 1967 - anno di inizio dell'occupazione militare dei Territori Palestinesi - oltre 200 detenuti sono morti nelle carceri israeliane. Oltre 800mila palestinesi sono stati arrestati negli ultimi 46 anni, il 40% della popolazione maschile palestinese e il 20% di quella totale. Non c'è famiglia che non abbia avuto o abbia tuttora un suo membro dietro le sbarre di una prigione israeliana.

Ad oggi, gennaio 2013, Israele tiene dietro le sbarre 4.656 prigionieri politici palestinesi: 310 di loro sono incarcerati in detenzione amministrativa - senza processo né accuse ufficiali - e 193 sono minorenni (di cui 23 hanno meno di 16 anni). Tredici detenuti sono membri del Consiglio Legislativo Palestinese, il parlamento dell'Autorità Palestinese.

Le condizioni di detenzione sono pessime. Come riportato daAddameer, la più importante associazione palestinese per la difesa dei prigionieri politici, i detenuti sono soggetti a diverse forme di tortura, tra cui l'isolamento prolungato, interrogatori di 12 ore, deprivazione del sonno e minacce di morte contro familiari.
A tutela dei prigionieri politici palestinesi è intervenuta anche l'ANP:ieri il ministro per i Prigionieri, Missa Qaraqe, ha annunciato l'invio di una lettera al Consiglio di Sicurezza dell'Onucontenente una denuncia ufficiale contro le autorità israeliane per le disumane condizioni di vita nelle carceri e le misure detentive illegali a cui sono sottoposti i detenuti palestinesi.

"La lettera sottolinea la situazione critica dei prigionieri in sciopero della fame che potrebbero morire in qualsiasi momento - ha spiegato il ministro - Se si permetterà che questo accada, si tratterà di un nuovo crimine per mano israeliana. Il Consiglio di Sicurezza dovrebbe discutere di tutte le questioni: le condizioni di salute, l'assenza di processi equi e in alcuni casi la totale mancanza di processi, il divieto di ricevere le visite dei familiari; le aggressioni all'interno delle carceri, l'isolamento, la detenzione amministrativa e la detenzione di minori". Nena News

 Avete letto bene: la detenzione di minori ai quali la "democratica" Israele  impone pene indescrivibili, che vanno dalla violenza carnale , alla tortura, alle minacce durante la detenzione....ripeto a tempo indeterminato. QUESTO FA ISRAELE E QUESTO TUTTO IL MONDO DEVE SAPERLO
E L'ONU COSA FA?
 


LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA E' UN REATO GRAVE CONTRO L'UMANITA'



Togliere la libertà a qualsiasi essere umano è sempre un gesto di grande ingiustizia , specialmente se non giustificato da alcun motivo. Questo la "democratica" Israele lo sa, ma lo ignora e quindi è doppiamente colpevole e quindi doppiamente condannabile da qualsiasi senso umanitario , prima che da qualsiasi legge  scritta. Israele imprigiona presunti "terroristi" in assenza anche del minimo indizio contro di essi per la durata di 6 anni rinnovabili a tempo indeterminato in attesa di processo e in assenza di condanna. Questa è realtà...non farneticazione , come può sembrare......questa è crudeltà perpetrata contro palestinesi, per la sola ragione di essere palestinesi e quindi di fare parte di un popolo verso cui , sistematicamente la "democratica" Israele sta compiendo un vero e proprio genocidio , una pulizia etnica dalle proporzioni mai viste prime, accanendosi da ben 64 anni contro un popolo inerte, la cui difesa si chiama "Resistenza" . E non venitemi a raccontare la favoletta dei razzetti quassam ai quali la "democratica" Israele risponde per difesa con ordigni di ultima generazione che sperimenta nella Striscia di Gaza perchè il confronto non regge e nessuna motivazione giuridica, ma principalmente umana può giustificare questo immane massacro rivolto principalmente contro i civili  ( per lo più bambini)  in totale assenza di rifuggi e di qualsivoglia protezione dalle incursioni criminali. Tornando all'argomento "Prigioni Israeliane" riporto di seguito un articolo comparso oggi sul portale di informazione NENA. Eccovelo:  

Israele e la Palestina dietro le sbarre

Quattro prigionieri proseguono lo sciopero della fame. Ashraf Abu Dhra muore dopo una detenzione di sei anni. E Ramallah denuncia Israele alle Nazioni Unite.

adminSito
martedì 29 gennaio 2013 09:15

dalla redazione

Betlemme, 29 gennaio 2013, Nena News - La battaglia degli stomaci vuoti non si è mai fermata. Prosegue lo sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. E mentre Samer Issawi digiuna da oltre 180 giorni, e Jazzer Ezzidine, Yousef Yassin e Tarek Qa'adan da quasi 60 giorni, c'è chi muore per le condizioni di vita dietro le sbarre.

Pochi giorni fa, Ashraf Abu Dhra è morto dopo cinque mesi dal rilascio. Aveva 29 anni, di cui gli ultimi sei e mezzo passati nel carcere israeliano di Ramle, in isolamento. Ad ucciderlo potrebbe essere stata la mancanza di cure mediche: malato di distrofia muscolare, Ashraf non è stato mai autorizzato dall'amministrazione carceraria ad accedere ad adeguati trattamenti. Una mancanza che lo ha costretto su una sedia a rotelle e, poco tempo dopo la sua liberazione, lo ha portato alla morte.

Nel 2008, l'associazione israeliana Physicians for Human Rightsaveva presentato una petizione ad un tribunale israeliano nella quale si chiedeva di imporre alla prigione di Ramle il ricovero di Ashrag: la corte ha approvato la richiesta, ma la clinica del carcere ha sempre ignorato la sentenza giudicando le cure "non necessarie".

Secondo i dati forniti dalle associazioni per la tutela dei prigionieri, dal 1967 - anno di inizio dell'occupazione militare dei Territori Palestinesi - oltre 200 detenuti sono morti nelle carceri israeliane. Oltre 800mila palestinesi sono stati arrestati negli ultimi 46 anni, il 40% della popolazione maschile palestinese e il 20% di quella totale. Non c'è famiglia che non abbia avuto o abbia tuttora un suo membro dietro le sbarre di una prigione israeliana.

Ad oggi, gennaio 2013, Israele tiene dietro le sbarre 4.656 prigionieri politici palestinesi: 310 di loro sono incarcerati in detenzione amministrativa - senza processo né accuse ufficiali - e 193 sono minorenni (di cui 23 hanno meno di 16 anni). Tredici detenuti sono membri del Consiglio Legislativo Palestinese, il parlamento dell'Autorità Palestinese.

Le condizioni di detenzione sono pessime. Come riportato daAddameer, la più importante associazione palestinese per la difesa dei prigionieri politici, i detenuti sono soggetti a diverse forme di tortura, tra cui l'isolamento prolungato, interrogatori di 12 ore, deprivazione del sonno e minacce di morte contro familiari.

A tutela dei prigionieri politici palestinesi è intervenuta anche l'ANP:ieri il ministro per i Prigionieri, Missa Qaraqe, ha annunciato l'invio di una lettera al Consiglio di Sicurezza dell'Onucontenente una denuncia ufficiale contro le autorità israeliane per le disumane condizioni di vita nelle carceri e le misure detentive illegali a cui sono sottoposti i detenuti palestinesi.

"La lettera sottolinea la situazione critica dei prigionieri in sciopero della fame che potrebbero morire in qualsiasi momento - ha spiegato il ministro - Se si permetterà che questo accada, si tratterà di un nuovo crimine per mano israeliana. Il Consiglio di Sicurezza dovrebbe discutere di tutte le questioni: le condizioni di salute, l'assenza di processi equi e in alcuni casi la totale mancanza di processi, il divieto di ricevere le visite dei familiari; le aggressioni all'interno delle carceri, l'isolamento, la detenzione amministrativa e la
detenzione di minori". Nena News

 Avete letto bene: la detenzione di minori ai quali la "democratica" Israele  impone pene indescrivibili, che vanno dalla violenza carnale , alla tortura, alle minacce durante la detenzione....ripeto a tempo indeterminato. QUESTO FA ISRAELE E QUESTO TUTTO IL MONDO DEVE SAPERLO

lunedì 28 gennaio 2013

Giornata della Memoria?

NO GRAZIE non serve ricordare il presente…
pale

“Tutti devono muoversi, correre e prendere quante più cime di colline (palestinesi) possibile in modo da allargare gli insediamenti (ebraici) perché tutto quello che prenderemo ora sarà nostro… Tutto quello che non prenderemo andrà a loro.”
Ariel Sharon, Ministro degli esteri d’Israele, aprendo un incontro del partito Tsomet Party, Agenzia France Presse, 15 novembre 1998….
David Ben Gurion Primo Ministro d’Israele, 1949 – 1954, 1955 – 1963
“Non esiste una cosa come il popolo palestinese … Non siamo noi venuti e li abbiamo cacciati e preso il loro paese…. Essi non esistono.”
Golda Meir, dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969.
“Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba”.
David Ben-Gurion, Maggio 1948, agli ufficiali dello Stato Maggiore. Da: Ben-Gurion, A Biography, by Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978.
“Israele può avere il diritto di mettere altri sotto processo, ma certamente nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato d’Israele.”
Ariel Sharon, Primo Ministro d’Israele, 25 marzo 2001 citato dalla BBC News Ondine.
“(I palestinesi) saranno schiacciati come cavallette… con le teste sfracellate contro i massi e le mura.”
Yitzhak Shamir a quel tempo Primo Ministro d’Israele in un discorso ai coloni ebrei, New York Times, 1 aprile 1988
“Israele avrebbe dovuto approfittare dell’attenzione del mondo sulla repressione delle dimostrazioni in Cina, quando l’attenzione del mondo era focalizzata su quel paese, per portare a termine una massiccia espulsione degli arabi dei territori”.
Benyamin Netanyahu, allora vice ministro degli esteri, ex Primo Ministro d’Israele, in un discorso agli studenti della Bar Ilan University, dal giornale israeliano Hotam, 24 novembre 1989.
Dopo aver letto queste frasi ed essere rimasta scioccata, (nonostante infondo sapessi già che tutte queste cose Israele le pensa, ma è ASSURDO che decida di esprimersi cosi liberamente), voglio mettere in chiaro alcune situazioni non chiare forse a troppe persone a questo mondo, persone che credono che l’unico elemento d’informazione buona sia la televisione, o forse i giornali italiani (e qui evito di commentare…).
Da ragazza nata in Italia ma di origine palestinese, mi sento in dovere di ricordare al mondo intero la data del 15 maggio. L’anniversario della Nakba palestinese, ossia la “catastrofe”, cosi chiamata perché in quel giorno centinaia di case palestinesi furono rase al suolo, migliaia di palestinesi furono quindi espropriati dei loro terreni e furono costretti all’espulsione.
Ricordo questa data, perché Israele ha provveduto a cancellarla dai libri di storia, quindi ad occultarla, a renderla il più possibile sconosciuta. Ma no. Non ce l’hanno fatta, perché quei palestinesi che furono espulsi nel 48 ora sono nonni e bisnonni, hanno procreato una nuova generazione, da cui sono nate altre nuove generazioni, che hanno deciso di non dimenticare.
Non dimenticare quella data, quel dolore, quelle case abbattute, quelle urla di madri, di nonne, quegli uomini morti come veri eroi perchè hanno deciso di fermarsi davanti a casa loro per proteggerla, quei fratelli che hanno preso le loro sorelle e le hanno messe in salvo rischiando la loro vita, quelle donne che hanno nascosto sotto al loro corpo neonati e bambini, anche non loro, per salvarli da una fine certa.
Oggi va loro una grandissima preghiera perchè è grazie a queste persone sicuramente, se oggi io sono qui a scrivere.
Ecco, mi viene naturale piangere ad immaginare queste scene, mi viene naturale provare orrore, rigetto, per uno “stato” (e scusatemi se lo metto tra virgolette, ma logicamente non riconosco Israele come tale,) che nasconde i propri crimini contro la Palestina e contro il mondo intero dietro ad un giorno della memoria, dietro ad un “ricordare per non dimenticare”.
Dimenticare che?!?
Ciò che è successo nella storia?
La pulizia etnica degli ebrei?
Ma la storia non si sta ripetendo?
Questa non è forse UNA PULIZIA ETNICA PALESTINESE?!
Se siete contrari a questa affermazione, vi prego di tornare leggermente indietro e leggere una seconda volta le dichiarazioni fatte dai primi ministri israeliani!!
Insomma, stiamo parlando di uno “stato” che utilizza il passato per giustificare i suoi crimini nel presente.
Stiamo parlando di crimini disumani quali “mettere il tifo negli acquedotti palestinesi”, quali il Massacro di Sabra e Chatila in Libano, quali l’attacco a Jenin nell’aprile del 2002 e il divieto di entrarvi per i soccorsi, l’attacco a Gaza nel dicembre del 2008 (che tra l’altro continua tutt’ora) o quello alla Freedom Flottilla nel maggio del 2010.
Crimini ingiustificabili, impuniti, di cui è ricca la breve storia di Israele, nel comodo silenzio di una Comunità Internazionale.
65 anni di crimini, 65 anni di sofferenze, 65 anni di ingiustizie che il popolo palestinese subisce.
Israele ha violato la bellezza di più di 70 risoluzioni ONU dal 1947 ad oggi, di cui la 194 che mi riguarda in particolare: “I profughi palestinesi hanno il diritto di ritornare alle loro case in Israele” ribadita per ben 6 volte.
Ma se io oggi ancora non sono andata in Palestina è forse proprio per questo motivo: mi sto battendo per un Diritto al Ritorno che mi spetta, che è legittimo, ma che Israele fa entrare da un orecchio e uscire dall’altro.
Vi chiedo di mettervi nei miei panni. Di qualunque nazionalità tu sia originario. Tu il tuo paese di origine lo conosci. Magari ci vivi o ci vai tutte le estati.
Oppure forse lo odi, non ti piace, lo ami, insomma non lo so, ci sono tante possibilità. Ma LO CONOSCI. Sai qual è, com’è, dov’è, che profumi ha, che sapori ha, che colori ha. Io questo non lo so come te. E sai perchè? Perchè io sono palestinese, ma in Palestina non ci posso entrare. Non posso abbassarmi e toccare quella che non smetto di chiamare LA MIA TERRA.
E questo perchè Israele punta a uno svuotamento dei palestinesi dalla Palestina, e certamente non obbedirà alle risoluzioni ONU.
70 risoluzioni violate di cui 6 per il diritto al ritorno dei palestinesi e di cui 20 richieste a Israele di non attaccare o di smetterla di attaccare il Libano. E di cui una, la 242 del 1967 che ci lascia tanto da comprendere: “L’occupazione israeliana della Palestina è illegale”.
Permettetemi di ridere quando Israele parla di “legittima autodifesa”. Permettetemi di ridere quando in TV si sente ATTACCO TERRORISTICO PALESTINESE IN ISRAELE e poi si sente dire INCURSIONE ISRAELIANA A GAZA…..
Sapete cos’è un’incursione? E’ un attacco. Non è un partigiano palestinese che tenta di difendere la propria famiglia e uccide due soldati, è un attacco militare israeliano con decine o centinaia di morti e/o feriti.
Ridere, logicamente per non piangere dal disgusto per Israele per come gioca su come trasmettere le informazioni.
Forse forse una terza intifada non gli starebbe cosi male!
Oggi c’è qualcosa di diverso. Da gennaio le rivolte dei popoli arabi si sono accese, e qualcosa in loro, che da tempo dorme, si è svegliato. Forse perchè attraverso le rivolte hanno provato sulla loro stessa pelle il significato di guerriglia, d’ingiustizia, di sangue cosparso, di dolore, di strategia, sembra si siano ricordati tutti della Palestina. Si è svegliato l’animo arabo, e oggi tra le manifestazioni dei Milioni, alcuni gruppi dai vari Paesi arabi hanno anche deciso di andarle in soccorso. Non importa se sono stati fermati o se verranno fermati. E’ il gesto. Oggi non ha funzionato, domani saremo più forti e funzionerà.
Oggi c’è qualcosa di diverso perché ci sono accordi di pace tra Hamas e Abbas, perché ci sono persone che hanno voglia di mettere fine a tutto ciò.
Ho una richiesta per l’Occidente: che il silenzio internazionale rimanga tale quando vedrete il mondo arabo attaccare Israele!!
Voglio concludere questa piccola riflessione dedicando un pensiero, un ricordo a Vittorio Arrigoni, l’Eroe della Palestina, con una sua stessa frase:
‎”Se ho ancora la forza di raccontare della loro fine è perché voglio rendere giustizia a chi non ha più voce, forse a chi non ha mai avuto orecchie per ascoltare”.
- Scusa, Terra mia, se ancora oggi il sangue dei tuoi stessi abitanti si sparge…
Scusa se mi sento a volte tanto inutile per te, se l’unica cosa che posso fare per sentirmi più vicina è boicottare i prodotti israeliani e dedicarti riflessioni da condividere con gli amici…
Scusa perché ancora non ce l’ho fatta ad arrivare sulla tua terra, sulla mia terra, se ancora non ti ho toccata, vista, se ancora non conosco le tue strade a memoria, se i miei parenti che si trovano li non li conosco tutti.
Scusa, se tutti ti ritengono tanto importante, tutti ti cercano, tutti ti vogliono e ti contendono.
Infondo eri sei e rimarrai la Palestina dei palestinesi. E questo tutti lo sanno e nessuno può confutarlo.
Scusa se mi capita di piangere dal dolore tutte le volte che ti penso, ma è solo perchè non ho la possibilità di ricordarti sorridendo.
Ti prometto, mi prometto,
che tutto questo presto finirà.
Lara Moghames 

domenica 27 gennaio 2013

OLOCAUSTO - LA VERITA' !

Gilad Atzmon: l'Olocausto non è un racconto storico
VERITÀ, STORIA E INTEGRITÀ
Nel 2007, la famigerata organizzazione ebraica americana di destra, l’ADL (Anti-Defamation League) annunciò che riconosceva gli eventi in cui si calcola vennero massacrati un milione e mezzo di armeni come “genocidio”[2]. Il direttore nazionale dell’ADL, Abraham Foxman, sostenne di aver preso la decisione dopo aver discusso della questione con degli “storici”. Per qualche imprecisato motivo, non riuscì a menzionare chi fossero questi storici, né fece riferimento alla loro credibilità o al loro ambito di studi. Ma Foxman si consultò anche con un sopravvissuto dell’olocausto che approvò la decisione. Si trattava di Elie Wiesel, non conosciuto per essere un esperto dei massacri armeni.

L’idea di un’organizzazione sionista sinceramente preoccupata, o addirittura vagamente commossa, per le sofferenze di altri popoli potrebbe davvero essere un cambiamento epocale nella storia ebraica. Ma questa settimana abbiamo appreso che l’ADL è ancora una volta coinvolta nel dilemma delle sofferenze degli armeni. Non è più convinta che gli armeni soffrirono così tanto. Ora sta facendo pressione sul Congresso americano affinché non riconosca le uccisioni degli armeni come “genocidio”. Questa settimana ha visto l’ADL “prendere posizione contro il riconoscimento, da parte del Congresso, del genocidio degli armeni e sostenere invece l’appello della Turchia per una commissione che studi gli eventi”[3].
Come mai un evento che ebbe luogo un secolo fa suscita un tale scalpore? Un giorno viene generalmente classificato come “genocidio”, il giorno dopo viene ridotto al caso ordinario di un uomo che ne uccide un altro. È stato un documento storico che, da chissà dove, è saltato sulla scrivania di Abe Foxman? Ci sono nuove rivelazioni sostanziali che hanno portato ad un cambiamento di prospettiva così drammatico? Non penso sia questo il caso.

Il comportamento dell’ADL è un colpo d’occhio sulla nozione di storia ebraica e sulla comprensione ebraica del passato. Per l’ebreo nazionalista e politico, la storia è un racconto pragmatico, è un resoconto elastico. È estranea a ogni metodo scientifico o accademico. La storia ebraica va oltre le regole di fattualità, di veridicità o di corrispondenza rispetto ad una data visione della realtà. Ripugna ad essa anche l’integrità o l’etica. Preferisce di gran lunga la sottomissione totale al pensiero creativo o critico. La storia ebraica è un racconto fantasmatico per fare in modo che gli ebrei siano felici e che i goyim si comportino bene. Sta lì per fare gli interessi di una tribù e solo di quella tribù. In pratica, dalla prospettiva ebraica, la decisione se c’è stato o no un genocidio armeno dipende dagli interessi ebraici: se è un bene per gli ebrei o se è un bene per Israele.

È interessante notare come la storia non sia una “specialità ebraica”. È un fatto accertato che tra il 1° secolo (Flavio Giuseppe[4]) e l’inizio del 19° secolo (Isaak Markus Jost[5]) non è stato scritto neanche un solo testo storico ebraico. Per quasi 2.000 anni gli ebrei non erano interessati al passato, loro o di chiunque altro. Almeno non abbastanza da registrarlo. In fatto di interessi, un esame adeguato del passato non fu mai una priorità per la tradizione rabbinica. Una delle ragioni è che probabilmente non c’era nessun bisogno di un tale sforzo metodico. Per l’ebreo che viveva nell’antichità e nel Medio Evo, c’era nella Bibbia materia sufficiente per rispondere alle domande più importanti sulla vita quotidiana, sul senso e sul destino ebraico. Come lo storico israeliano Shlomo Sand rimarca, “il tempo cronologico profano era estraneo al “tempo della Diaspora” che veniva modellato dall’attesa per la venuta del Messia”.

Tuttavia, alla metà del 19° secolo, alla luce della secolarizzazione, dell’urbanizzazione, dell’emancipazione, e a causa della diminuita autorità dei rabbini, tra gli ebrei europei che si stavano affrancando sorse imperioso il bisogno di una motivazione alternativa.Di colpo, l’ebreo emancipato doveva decidere chi era e da dove veniva. Egli iniziò anche a congetturare quale poteva essere il suo ruolo nella società occidentale in rapida espansione.

Ecco dov’è che la storia ebraica, nella sua accezione moderna, venne inventata. Ecco, anche, dove il giudaismo venne trasformato da religione mondiale in un “catasto” dalle implicazioni razziali ed espansionistiche chiaramente devastanti. Come sappiamo, la tesi di Shlomo Sand sulla “Nazione ebraica” come invenzione favolistica deve essere ancora confutata a livello accademico. Tuttavia, la liquidazione della realtà fattuale o dell’impegno alla veridicità è effettivamente sintomatica di ogni forma di ideologia e di politica collettiva ebraica contemporanea. L’atteggiamento dell’ADL verso la questione armena è solo un esempio. La liquidazione da parte dei sionisti di un passato e di un retaggio palestinese è solo un altro esempio. Ma di fatto ogni visione collettiva ebraica del passato è intrinsecamente giudeo-centrica e ignara di ogni procedura accademica o scientifica.

Quando ero giovane

Quando ero giovane e ingenuo consideravo la storia come una seria materia accademica. Poiché avevo capito che la storia ha a che fare con la ricerca della verità, i documenti, la cronologia e i fatti. Ero convinto che la storia dovesse trasmettere un resoconto sensato del passato basato su una ricerca metodica. Credevo anche che essa si basasse sul presupposto che capire il passato possa gettare una qualche luce sul nostro presente e persino aiutarci a delineare la prospettiva di un futuro migliore. Sono cresciuto nello stato ebraico e mi ci volle un bel po’ per capire che il racconto storico ebraico è molto differente. Nel ghetto intellettuale ebraico, si decide come deve essere il futuro, poi si costruisce un “passato” alla bisogna. È interessante notare che questo stesso metodo è prevalente anche tra i marxisti. Essi plasmano il passato in modo che quadri graziosamente con la loro visione del futuro. Come dice la vecchia battuta ebraica: “quando i fatti non si conformano all’ideologia marxista gli scienziati sociali comunisti correggono i fatti (piuttosto che rivedere la teoria)”.

Quando ero giovane, non pensavo che la storia fosse una questione di decisioni politiche o di accordi tra una fanatica lobby sionista e il suo sopravvissuto dell’olocausto preferito. Consideravo gli storici come degli studiosi impegnati in adeguate ricerche che seguivano procedure rigorose. Quando ero giovane ho persino pensato di diventare uno storico.

Quando ero giovane e ingenuo ero anche convinto, in qualche modo, che quello che ci veniva detto sul nostro passato ebraico “collettivo” fosse realmente accaduto. Credevo a tutto, al Regno di Davide, a Masada, e poi all’Olocausto: al sapone, ai paralumi[6], alle marce della morte, ai sei milioni.

Mi ci sono voluti molti anni per capire che l’Olocausto, il nocciolo della fede ebraica contemporanea, non era affatto un racconto storico perché un racconto storico non ha bisogno della legge e dei politici. Mi ci sono voluti anni per afferrare che la mia trisavola non era stata trasformata in una “saponetta” o in un “paralume”. Ella probabilmente morì di sfinimento, di tifo o forse addirittura in una fucilazione di massa. Tutto ciò era già abbastanza brutto e tragico, eppure non molto differente dal destino di molti milioni di ucraini che impararono cos’era davvero il comunismo. “Alcuni dei peggiori sterminatori della storia furono ebrei”, scrive il sionista Sever Plocker[7] sul sito israeliano Ynet, divulgando l’Holodomor[8] e il convolgimento ebraico in questo crimine colossale, probabilmente il più grande crimine del 20° secolo. Il destino della mia trisavola non fu in alcun modo differente da quello di centinaia di migliaia di civili tedeschi che morirono, perché erano tedeschi, a causa di bombardamenti deliberatamente indiscriminati. In modo analogo, gli abitanti di Hiroshima morirono solo perché erano giapponesi. Un milione di vietnamiti morirono solo perché erano vietnamiti e 1.3 milioni di iracheni sono morti perché erano iracheni. In breve: le tragiche circostanze della mia trisavola non furono così speciali, dopo tutto.

Non ha senso

Mi ci sono voluti anni per accettare che il racconto dell’Olocausto, nella sua forma corrente, non ha alcun senso storico. Ecco qui soltanto un piccolo aneddoto da elaborare:

se, per caso, i nazisti volevano gli ebrei fuori del loro Reich (Judenrein – libero dagli ebrei) o addirittura che morissero, come sostiene il racconto sionista, come mai ritornarono nel Reich a centinaia di migliaia alla fine della guerra? Questa semplice domanda mi ha intrigato per un pezzo. Alla fine, mi sono buttato in una ricerca storica sull’argomento e ho finito con l’apprendere dal professore israeliano di storia dell’olocausto Israel Gutman[9] che i prigionieri ebrei in realtà si unirono alle marce volontariamente. Ecco una testimonianza tratta dal libro di Gutman:

“Uno dei miei amici e parenti al campo venne da me la notte dell’evacuazione e mi offrì un luogo per nasconderci insieme da qualche parte sulla strada dal campo alla fabbrica…L’intenzione era di lasciare il campo con uno dei convogli e di fuggire vicino al cancello, utilizzando l’oscurità per allontanarci un po’ dal campo. La tentazione fu molto forte. Ma, tutto considerato, decisi poi di unirmi (alla marcia) con tutti gli altri detenuti e di condividere il loro destino” (Israel Gutman [curatore], People and Ashes: Book Auschwitz-Birkenau, Meravia, 1957).

Qui sono rimasto perplesso: se i nazisti ad Auschwitz-Birkenau dirigevano una fabbrica della morte, perché i prigionieri ebrei si unirono a loro alla fine della guerra? Perché gli ebrei non aspettarono i loro liberatori rossi?

Penso che 65 anni dopo la liberazione di Auschwitz dovremmo avere il diritto di cominciare a porre le domande necessarie. Dovremmo chiedere prove e argomenti storici conclusivi invece di seguire un racconto religioso che è tenuto in piedi dalle pressioni politiche e dalle leggi. Dovremmo privare l’olocausto del suo status eccezionale giudeo-centrico e trattarlo come un capitolo storico che appartiene ad una certa epoca e ad un certo luogo.

65 anni dopo la liberazione di Auschwitz dovremmo reclamare la nostra storia e chiedere: perché? Perché gli ebrei erano odiati? Perché gli europei insorsero contro i loro vicini della porta accanto? Perché gli ebrei sono odiati in Medio Oriente? Sicuramente hanno avuto la possibilità di aprire una nuova pagina nella loro storia travagliata. Se pensavano sinceramente di agire in tal senso, come i primi sionisti affermavano, perché hanno fallito? Perché l’America inasprì le sue leggi sull’immigrazione quando gli ebrei europei erano minacciati da un crescente pericolo? Dovremmo anche chiedere: che scopo hanno le leggi contro il negazionismo dell’olocausto? Cosa nasconde la religione dell’olocausto? Fino a quando non riusciremo a fare domande, saremo soggetti ai complotti dei sionisti e dei loro agenti neocon. Continueremo a uccidere in nome delle sofferenze ebraiche. Manterremo la nostra complicità nei crimini imperialisti occidentali contro l’umanità.

Per quanto ciò sia devastante, in un dato momento di una certa epoca, ad un capitolo orribile è stato concesso uno status di eccezionalità metastorica. La sua “fattualità” è stata blindata con leggi draconiane e il suo discorso è stato protetto da disposizioni sociali e politiche. L’Olocausto è diventato la nuova religione occidentale. Purtroppo, è la religione più sinistra a memoria d’uomo. È una licenza di uccidere, di distruggere, di usare armi nucleari, di violentare, di rubare e di compiere pulizie etniche. Abbiamo fatto della vendetta e della rappresaglia dei valori occidentali. Ma molto più preoccupante è il fatto che essa priva l’umanità del suo retaggio: sta lì per impedirci di guardare il nostro passato con dignità. La religione dell’Olocausto priva l’umanità del suo umanesimo. Per amore della pace e delle future generazioni l’Olocausto deve essere privato immediatamente del suo status di eccezionalità. Deve essere sottoposto ad un esame storico approfondito. La verità e la ricerca della verità sono un’espeirenza umana elementare. Devono prevalere.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.gilad.co.uk/WRITINGS/TRUTH-HISTORY-AND-INTEGRITY-BY-GILAD-ATZMON.HTML
[2] http://www.adl.org/PresRele/Mise_00/5114_00.htm
[3]http://www.wickedlocal.com/watertown/news/x776893655/Jewish-Armenian-coalition-launches-Armenian-Genocide-recognition-effort
[4] http://www.ccel.org/j/josephus/works/JOSEPHUS.HTM
[5] http://en.wikipedia.org/wiki/Isaak_Markus_Jost
[6] Durante e dopo la seconda guerra mondiale venne largamente creduto che dai corpi delle vittime ebree venissero prodotti saponette e paralumi. In anni recenti, il museo israeliano dell’Olocausto ha ammesso che non c’era verità in nessuna di queste accuse.
[7] http://engforum.pravda.ru/showthread.php?t=264714 , tradotto qui: http://andreacarancini.blogspot.com/2008/03/gli-ebrei-di-stalin.html .
[8] http://www.holodomorthemovie.com/
[9] http://www.youtube.com/watch?v=jhDu_Y1sPiE


OLOCAUSTO

Quello che gli storici non dicono

La collaborazione tra nazisti ed organizzazioni ebraiche sioniste
e l'ipocrisia dell'occidente democratico


di Gianfredo Ruggiero 

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Nel sito di Excalibur è visionabile l'articolo completo con le note di approfondimento.

Nella drammatica vicenda della persecuzione hitleriana vi sono due aspetti poco noti e per nulla dibatuti, mi riferisco all’attiva collaborazione tra regime nazista e organizzazione sioniste per agevolare il trasferimento degli ebrei tedeschi in Palestina e l’atteggiamento ipocrita dell’Occidente che se da un lato esprimeva solidarietà agli ebrei vessati dai nazisti dall’altro si rifiutava di ospitarli.

Adolf Hitler fin da subito adottò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per indurli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno all’emigrazione. Quest’ultimo aspetto rispecchiava l’ideale della patria ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista il quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare. 

Come risultato il Governo di Hitler sostenne con vigore il Sionismo e l’emigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41. Questa politica portò al cosiddetto “Accordo di Trasferimento” noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato all’acquisto di attrezzi per l’agricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.

A questo accordo tra governo tedesco e Mapaï, l’antenato del partito Laburista israeliano, contribuirono personaggi divenuti in seguito molto noti come i futuri Primi Ministri israeliani David Ben-Gurion e Golda Meir.

Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre questa collaborazione è la medaglia commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la svastica e sull’altra la stella di David.

L’altro aspetto poco approfondito riguarda il sostanziale rifiuto delle nazioni democratiche di accogliere nei loro confini i profughi ebrei. Atteggiamento confermato dal fallimento della conferenza di Evian del 1938 dove i trentadue due stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L'unica nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 700, tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza abbandonandoli, di fatto, al loro destino.

Altra questione poco dibattuta riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dell’esistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia.

Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i cosiddetti “paladini della libertà”?

Nel “Giorno della Memoria” esprimiamo la nostra piena solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei carnefici.

Gianfredo Ruggiero, presidente del Circolo Culturale Excalibur-Varese

medaglia commemorativa della collaborazione tra nazisti e organizzazioni ebraiche sioniste

L’articolo completo con gli approfondimenti e i relativi riferimenti storici è visionabile nel sito: excaliburitalia.wordpress.com

La riproduzione è autorizzata se citato l'autore e la fonte.

sabato 26 gennaio 2013

Discorso pronunciato a Friburgo nel corso di "Palestina, Israele, Germania


I confini di una conferenza aperta" l'11 settembre 2011
Gentili signori e signore.
Inizierò il mio discorso con una confessione inconsueta. Sebbene sia nato in Israele, nei primi trent'anni della mia vita non ne sapevo molto del Nakba, la brutale pulizia etnica della popolazione palestinese avvenuta nel 1948 da parte del neonato stato di Israele. I miei compagni e io sapevamo di un unico massacro, precisamente quello di Deir Yassin, ma non eravamo per niente familiari con la dimensione delle atrocità commesse dai nostri nonni. Credevamo che i palestinesi fossero fuggiti volontariamente. Ci era stato detto che erano scappati e non trovavamo alcuna ragione per dubitare che questa fosse davvero la realtà delle cose.

Lasciatemi dire che, in tutti gli anni trascorsi in Israele, non ho mai sentito pronunciare la parola Nakba. Questo vi sembrerà patetico, o persino assurdo, ma non dovreste anche voi chiedervi quando è stata la prima volta che avete sentito la parola Nakba? Forse potete provare anche voi a ricordare quando questo termine è entrato a far parte del vostro lessico. Lasciate che vi aiuti: ho fatto una piccola ricerca tra i miei amici europei e americani della solidarietà palestinese, e molti di loro avevano sentito la parola Nakba solo pochi anni fa, mentre altri hanno ammesso di avere iniziato ad usare loro stessi la parola tre o quattro anni fa.

Ma non è questa una situazione leggermente strana? Dopotutto, il Nakba è avvenuto più di sei decenni fa. Come è possibile che solo di recente sia entrato nel nostro ordine simbolico?

La risposta è, sotto certi aspetti, piuttosto semplice: essere nel mondo significa essere assoggettato a cambiamenti e trasformazioni. Implica una comprensione e una rivalutazione del passato attraverso diverse consapevolezze presenti. La storia è plasmata e riplasmata nel corso del tempo.

Di conseguenza, sembriamo comprendere l'espulsione e la difficile situazione dei palestinesi con la nostra attuale comprensione della brutalità di Israele: alla luce della distruzione che Israele ha lasciato dietro di sé in Libano nel 2006, seguita dalla nostra testimonianza dei crimini di genocidio commessi a Gaza nell'"operazione Piombo Fuso" e dall'osservazione delle riprese dell'uccisione da parte dell'IDF degli attivisti pacifisti sulla Mavi Marmara, conseguentemente siamo riusciti a correggere la nostra idea della grandezza della tragedia palestinese del 1948. Comprendendo più pienamente quello di cui sono capaci gli israeliani, siamo anche capaci di ricostruire la nostra visione del "peccato originale" di Israele, ossia il Nakba. Siamo capaci di provare un'empatia più profonda con i palestinesi espulsi nel 1948 grazie alla nostra comprensione attuale e in evoluzione di Israele, degli israeliani, dell'"israelianità", del nazionalismo ebraico, del sionismo globale e della persistente lobby israeliana.

Il significato e il valore di tutto ciò diventano più chiari, il passato è lungi dall'essere un insieme ben sigillato di eventi con un preciso significato, predeterminato in modo statico e poi escluso dalla possibilità di dibattito. Al contrario, la nostra interpretazione del passato viene plasmata e trasformata, costantemente, mentre procediamo e aumentano la nostra conoscenza e la nostra esperienza. E, dato che molta della realtà attuale è plasmata dalla nostra visione del mondo, anche il passato viene plasmato e riplasmato, visto e rivisitato dalle narrazioni che ci capita di seguire in un dato momento temporale.

Questo è il vero significato dell'"essere nel tempo"; è questa l'essenza della temporalità e questo è tutto il senso del pensiero storico. Le persone possiedono la capacità di "pensare storicamente" e di essere trasformate dal passato, ma anche di permettere al passato di essere costantemente plasmato, e riplasmato, mentre procedono verso l'ignoto.
Il ricordo di Deir Yassin

Ma qui c'è un insieme interessante di aneddoti storici che meritano la nostra attenzione: certamente, si potrebbe rimanere perplessi nell'apprendere che, appena tre anni dopo la liberazione di Auschwitz nel 1945, l’appena fondato stato di Israele abbia effettuato una pulizia etnica di gran parte della popolazione indigena della Palestina (1948). Solo cinque anni dopo la sconfitta del Nazismo, lo stato israeliano ha emanato leggi del ritorno discriminatorie dal punto di vista razziale per impedire che i rifugiati palestinesi del 1948 ritornassero nelle loro città, nei loro villaggi, campi e frutteti. Queste leggi, tuttora in vigore, non erano categoricamente differenti dalle note leggi razziali di Norimberga. Ci si potrebbe anche stupire nello scoprire che Yad Vashem, il museo dell'Olocausto israeliano, sia situato sul territorio confiscato del villaggio palestinese di Ein Karem, accanto a Deir Yassin, che è probabilmente il simbolo definitivo della Shoah palestinese.

Ci si potrebbe chiedere quale sia la causa fondamentale di questa assenza di compassione istituzionale, che è stata esibita e mantenuta da Israele e dagli israeliani per decenni. Ci si potrebbe aspettare che gli ebrei, essendo stati essi stessi vittime dell'oppressione e della discriminazione, sarebbero stati i primi a combattere contro il male e il razzismo. Ci si potrebbe aspettare che le vittime della discriminazione si astenessero dall'infliggere dolore sugli altri.

Tuttavia, vengono in mente alcune domande ben più generali e profonde: come è possibile che il discorso politico e ideologico israeliano non sia riuscito evidentemente a trarre le ovvie e necessarie lezioni morali dalla storia e dalla storia ebraica in particolare? Come è possibile che, nonostante la "storia ebraica" sembri essere una storia infinita di sofferenza per gli Ebrei, lo stato ebraico sia così cieco nei confronti del dolore che infligge agli altri?

Alla luce dei fatti, ciò che vediamo è una forma di alienazione dal pensiero storico. Lo storico israeliano Shlomo Sand ha notato che il giudaismo rabbinico potrebbe essere realizzato come un tentativo di sostituire il pensiero storico: al posto della storia la torah ha fornito al giudaismo rabbinico un trama spiritualmente guidato. Ha creato un'immagine di scopo e di destino. Tuttavia le cose sono cambiate nel XIX secolo. A causa della rapida emancipazione del popolo ebraico europeo insieme all'ascesa del nazionalismo e allo spirito dell'Illuminismo, gli ebrei europei assimilati si sono sentiti costretti a ridefinire le loro origini in termini secolari, nazionali e razionali. È così che gli ebrei si sono "inventati" come "popolo" e come "classe": in modo analogo ad altre nazioni europee, gli ebrei hanno sentito la necessità di avere una narrazione coerente di loro stessi e della loro storia.

Inventare la storia non è un crimine, i popoli e le nazioni lo fanno spesso. Eppure, nonostante il rapido processo di assimilazione, l'ideologia e la politica secolare ebraica non sono riuscite a racchiudere il reale significato del pensiero storico e della comprensione storica. Certo, l'ebreo secolare assimilato è riuscito facilmente a lasciar cadere Dio e gli altri simboli religiosi. E tuttavia, almeno politicamente, l'ebreo assimilato non è riuscito a sostituire la divinità con una comprensione alternativa ebraica antropocentrica, secolare, etica e metafisica.
Temporalità e alienazione

Ho capito solo recentemente che "il discorso politico dell'identità ebraica" non solo è alieno dalla storia, non è solo effettivamente antagonista al pensiero storico, ma è anche distaccato dalla nozione di temporalità.

La temporalità è inerente alla condizione umana: "essere" significa "essere nel tempo". Che ci piaccia o meno, siamo destinati a oscillare tra un passato che sta svanendo nel nulla e l'ignoto che procede dal futuro verso di noi.

Attraverso il presente, il cosiddetto "qui e ora", meditiamo su ciò che è passato. Occasionalmente, speriamo nel perdono; e a volte siamo rallegrati da un ricordo piacevole. Altre volte siamo in conflitto con noi stessi per non aver reagito in modo appropriato in qualche momento del nostro passato. E di tanto in tanto potremo ricordare la sensazione dell'amore.

Nel presente possiamo anche intravedere il futuro e nella consapevolezza di tale presenza potremo provare il senso di timore per l'ignoto. Ma possiamo anche provare impeti di felicità e ottimismo quando il futuro sembra sorriderci.

Più spesso che non, impariamo lezioni dal passato. Ma ben più cruciale e interessante è forse l'idea che un futuro immaginario possa facilmente riscrivere o persino riplasmare il passato.

Cercherò di illustrare questa sottile idea attraverso un semplice ed ipotetico, eppure terrificante, scenario di guerra. Ad esempio, possiamo facilmente immaginare una situazione terrificante in cui un attacco cosiddetto "preventivo" israeliano contro l'Iran potrebbe trasformarsi in un disastroso conflitto nucleare, in cui morirebbero decine di milioni di persone in Medio Oriente e in Europa.

Immagino che, tra i pochi sopravvissuti a un tale ipotetico scenario da incubo, alcuni potrebbero essere abbastanza coraggiosi da dire che "cosa pensano realmente" dello stato ebraico e delle sue intrinseche tendenze omicide.

Quanto detto è ovviamente un’eventualità terrificante e in nessuna maniera auspicabile, tuttavia una tale visione di un "possibile" sviluppo dovrebbe impedire l'idea di un'aggressione israeliana o sionista nei confronti dell'Iran.

Ma come sappiamo, questo capita raramente: gli ufficiali israeliani minacciano di radere al suolo e bombardare l'Iran fin troppo spesso.

Apparentemente gli israeliani e i sionisti in tutto il mondo non riescono a vedere le proprie azioni all'interno di una prospettiva o di un contesto storico. Non riescono a valutare le proprie azioni in base alle conseguenze. Da una prospettiva etica, lo scenario "immaginario" sopradescritto potrebbe o dovrebbe impedire a Israele persino di contemplare qualsiasi attacco contro l'Iran. Ciononostante, quello che vediamo in pratica è il perfetto opposto: Israele non perde un'opportunità di minacciare l'Iran.

La mia spiegazione è semplice. Il discorso politico e ideologico ebraico è alieno alla nozione di temporalità. Israele è cieco alle conseguenze delle proprie azioni; pensa solo alle sue azioni in termini di pragmatismo a breve termine. All'interno del discorso politico ebraico la freccia del tempo è una strada a senso unico. Va avanti, ma non torna mai indietro. Non c' è mai un tentativo di rivedere il passato alla luce di un possibile futuro. Invece della temporalità, Israele pensa in termini di un presente esteso.

Ma Israele è solo una parte del problema. La lobby israeliana è anche cieca nei confronti del disastro immanente che porta agli ebrei della Diaspora. Come Israele, la lobby pensa solo in termini di guadagno a breve termine. Cerca sempre più potere. Non si guarda mai indietro, e mai si pente.

In breve, la nozione di temporalità è la capacità di accettare che il passato è "elastico". La nozione di temporalità permette alla freccia del tempo di muoversi in entrambe le direzioni. Dal passato in avanti, come pure dal futuro (immaginario) all'indietro. La temporalità permette al passato di essere plasmato e rivisto alla luce di una ricerca di significato. La storia e il pensiero storico sono la possibilità di ripensare il passato. L'etica è legata alla temporalità, poiché l'etica è l'abilità di giudicare e riflettere su questioni che trascendono oltre il "qui ed ora". Pensare eticamente significa produrre un giudizio di principio che regge la prova del tempo.
Guardare al passato

In misura significativa, quindi, l'abilità di rivedere la propria prospettiva e la comprensione del passato è la vera essenza del pensiero storico, ci consente di riplasmare la nostra comprensione del passato attraverso la consapevolezza di una prospettiva futura immaginaria, e viceversa. Pensare storicamente diventa un evento significativo una volta che la nostra esperienza passata ci permette di intravedere un futuro migliore.

Dunque il revisionismo è impregnato della più profonda possibile comprensione della temporalità, e pertanto è inerente all'umanità e all'umanismo. Ed è ovvio che chi si oppone a un giusto ed aperto dibattito storico sta operando non solo contro le fondamenta dell'umanismo, ma anche contro l'etica.

Tuttavia in Israele alcuni legislatori insistono che la commemorazione e il dibattito storico del Nakba debbano diventare illegali. E, cosa interessante, gli ebrei e i sionisti si oppongono anche a qualsiasi tentativo di decostruzionismo e di revisione del passato ebraico. Io, ad esempio, sono stato etichettato di recente "antisemita" per aver suggerito che il sionismo non è colonialismo. Nel caso non ne foste a conoscenza, questa conferenza è stata soggetta a una forte pressione da parte alcuni prominenti antisionisti ebrei, che hanno insistito nell'impedire ogni discussione sulla storia della sofferenza degli ebrei.

Ma presumo che ora sia ben chiaro che la mia posizione filosofica non è molto lusinghiera nei confronti del discorso politico e ideologico ebraico. Eppure, va detta la verità: il discorso politico ebraico si oppone apertamente a qualsiasi forma di revisionismo. La politica ebraica è preposta a fissare e cementare una narrativa e una terminologia.

Sebbene l'ideologia sionista si presenti come un racconto storico, mi ci sono voluti molti anni per capire che il sionismo, la politica e l'ideologia dell'identità ebraica sono stati chiari assalti rivolta alla storia, alla nozione di storia e di temporalità. Il sionismo, in effetti, non fa altro che emulare un discorso storico. In pratica, il sionismo, come le altre forme del discorso politico ebraico, sfida ogni forma di discussione storica. Perciò, coloro che seguono le ideologie politiche ebraiche e sioniste sono destinati ad allontanarsi dall'umanismo, dall'umanità e dalla condotta etica. Una tale spiegazione potrà chiarire la condotta criminale israeliana e il sostegno istituzionale ebraico per Israele.
È ormai tempo di autoriflessione

Inventare un passato, come suggerisce Shlomo Sand, non è la questione più preoccupante quando si tratta di Israele e del sionismo. I popoli e le nazioni tendono infatti a inventare il loro passato.

Ma celebrare il proprio passato fantasma a spese di altri è ovviamente una questione etica preoccupante. Ma nel caso di Israele il problema è più profondo. È il tentativo di sigillare gli "ieri" che hanno portato al crollo etico collettivo di Israele e dei suoi sostenitori.

Tuttavia, per quanto ami criticare Israele e il sionismo, devo anche chiedervi di fare un'autoriflessione. Tristemente, Israele non è solo. Come è tragicamente evidente, anche l'America e la Gran Bretagna sono riuscite volontariamente a rinunciare alla temporalità. È la mancanza di un vero discorso storico che ha impedito alla Gran Bretagna e all'America di comprendere il loro futuro, il presente e il passato. Come nel caso della "storia" ebraica, i politici americani e britannici insistono su un racconto storico semplicistico e binario sulla Seconda Guerra Mondiale, sulla Guerra Fredda, sull'Islam e sugli eventi dell’11 settembre. Tragicamente, il genocidio criminale anglo-americano in Iraq e in Afghanistan, meglio conosciuto come "Guerra al Terrore", è la continuazione della cecità auto-inflitta. Dato che la Gran Bretagna e l'America non sono riuscite a comprendere il messaggio necessario dai massacri di Amburgo e Dresda, Nagasaki e Hiroshima, non c'è stato niente che potesse fermare l’imperialismo anglo-americano dal commettere crimini similari in Corea, in Vietnam, in Afghanistan e in Iraq.

E voi, miei cari tedeschi? Che ne pensate del vostro passato? Siete liberi di guardare dentro il vostro passato e di riplasmarne la comprensione? Non lo credo. La vostra storia, o per lo meno alcuni suoi capitoli, sono stati sigillati da qualche legge rigida e per questo voi che fate parte delle generazioni più giovani non cercate di afferrare il vero significato etico dell'Olocausto. Chiaramente i tedeschi non capiscono che i palestinesi sono in realtà le ultime vittime di Hitler, perché senza Hitler non ci sarebbe uno stato ebraico. Le vostre giovani generazioni non riescono a vedere che i palestinesi sono certamente le vittime di un'ideologia come quella nazista, che è sia razzista che espansionista. Lasciate che vi dica, se qualcuno di voi si sente colpevole di qualunque cosa che abbia a che vedere con il vostro passato, che sono i palestinesi quelli di cui dovreste preoccuparvi. Il fatto che la Germania si sia distaccata dal suo passato spiega chiaramente la complicità politica tedesca con i crimini sionisti. Certamente spiega perché il vostro governo fornisce di tanto in tanto a Israele sottomarini nucleari. Ma spiega anche perché riusciate a rimanere in silenzio nel momento in cui venite a conoscenza del fatto che Yad Vashem è stato costruito su terra palestinese rubata nel 1948.

Ma non si tratta solo di Israele, sionismo, Gran Bretagna, America e Germania. Guardiamo a noi stessi, i sostenitori di Justice in Palestine. Persino all'interno del nostro movimento, abbiamo elementi distruttivi che insistono a dire che non dovremmo azzardarci a toccare il passato: il mese scorso, il Café Palestine Freiburg e l'organizzatore di questa conferenza sono stati oggetto di un costante attacco da parte di alcuni importanti personaggi del movimento ebraico "antisionista". Pretendevano una mia esclusione dalla conferenza perché sarei uno che "nega l'Olocausto". Non c'è bisogno di dire che non ho mai negato l'Olocausto, né altri capitoli storici. Trovo anche senza senso la nozione di "negazione dell'Olocausto", ad un passo dall'idiozia.

Insisto comunque, come ho fatto oggi, che la storia debba rimanere un discorso aperto, soggetto a cambiamenti e revisioni; mi oppongo a qualsivoglia tentativo di sigillare il passato, sia che si tratti del Nakba, dell'Olocausto, dell'Holodomor o del genocidio armeno. Sono convinto che una comprensione organica ed "elastica" del passato sia la vera essenza di un discorso umanista, dell'universalismo e dell'etica.

Chiaramente, non so come salvare Israele da sé stesso, non so come liberare gli ebrei antisionisti dalla loro ideologia giudeo-centrica; ma, per quanto riguarda l'America, la Gran Bretagna, la Germania, l'Occidente e noi oggi qui presenti, tutto quello che dobbiamo fare è ritornare ai nostri preziosi valori dell'apertura.

Dobbiamo allontanarci da una Gerusalemme restrittiva e monolitica e ripristinare lo spirito etico dell'Atene pluralista.

Fonte: GILAD ATZMON: BEING IN TIME

venerdì 18 gennaio 2013

Le DONNE di Gaza

Io sono una donna occidentale, nata e cresciuta in una cultura occidentale, per la precisione Italiana, anzi Siciliana . Perchè preciso la regione che ha visto i miei natali? Subito detto :
La Sicilia ha molte affinità con la cultura araba perchè gli arabi la occuparono nel 827 dopo essere sbarcati a Granitola, nei pressi di Mazara del Vallo. Io conosco molto bene questa città e vi posso assicurare che fino ad oggi ha conservato molti aspetti della cultura araba, come del resto tutta la Sicilia, sia sotto il profilo architettonico che su quello culturale , compresa l'arte culinaria, molto affine a quella araba.
Ma io sono qui oggi per parlare di donne siciliane e di donne arabe, delle similitudini e delle differenze fra di esse.
Nella Sicilia degli anni 50 -60 le donne , per lo più di cultura cristiana, avevano conservato molte delle caratteristiche , per usi e costumi, delle donne arabe , di cultura musulmana. Usavano  coprire il loro capo, estate ed inverno con delle sciarpe per lo più di colore oscuro ed erano sottomesse ai propri capi famiglia (dal marito , se sposate; da padre e fratelli se ancora nubili) non era in uso rivolgere la parola per strada ad uomini estranei alla propria famiglia e venivano maltrattate se venivano scoperte in compagnia di uomini estranei alla famiglia in  qualsiasi luogo, non rare erano le contese, spesso anche parecchio accese che sfociavano anche nella violenza per motivi a tal riguardo. In parole povere, agli uomini non veniva proibito nulla, alle donne tutto.
Oggi tutto questo fa parte di un antico passato e stiamo sempre più avvicinandoci ad un rapporto paritario basato sul rispetto reciproco, anche se in alcuni settori rimangono ancora residui di  uomini privilegiati......
Perchè dico questo?
Ebbene la realtà delle donne di Gaza è ancora oggi molto chiusa. Da quello che ho appreso, nella società di Gaza è tutto fermo e stagnante ad almeno 50 anni fa........alle donne , non è concesso salutare estranei per strada e gli uomini non devono osare rivolgere loro neanche sguardi se non appartenenti al nucleo familiare. Le donne sono ancora sottomesse ai mariti se sposate o ai  maschi della casa se ancora nubili. La vita delle donne di Gaza si svolge esclusivamente fra le mura domestiche dedite all'educazione dei figli e alle faccende domestiche. Difficilmente svolgono lavori al di fuori della propria casa . Questo si può, in buona parte,  attribuire a quei maledetti muri che non favoriscono una normale evoluzione sociale, economica e culturale. Le donne mettono al mondo in media da 8 a 12 figli perchè l'incremento della popolazione rappresenta la forma più alta ed efficace   di resistenza, poichè il  nemico Israele, impegnato nelle sue pratiche espansionistiche barbare e selvagge, impegnato a commettere massacri allo scopo di compiere una vera e propria pulizia etnica, mai potrà annientare un popolo come quello di Gaza , che, malgrado tutto è in crescita, che supera perfino la Cina per densità di popolazione. La religione musulmana poi  incide in minima parte su questo fermo ideologico-culturale con le sue tradizioni che vogliono la donna coperta il più possibile e chiusa fra le mura domestiche.
Ogni popolo ha diritto di evolversi e crescere con i suoi ritmi di tempo. Nessuno ha il diritto di esprimere  giudizi su una cultura che non conosce e di cui non fa parte. Però io, in cuor mio, spero con tutta l'anima che possa giungere la fine di questo triste e tragico assedio, di questo genocidio dalle dimensioni mai viste prima, anche per potere permettere alle donne di Gaza di potere decidere liberamente le sorti del proprio destino , di potere instaurare un rapporto di reciproco rispetto con gli uomini e di potere doppiamente urlare al vento:
W LA LIBERTA'!